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Specialista in Ortopedia e Traumatologia


Ricopre il ruolo di Professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Torino. E’ autore di oltre 150 pubblicazioni, 38 capitoli di libri, 5 monografie e 25 cinematografia scientifica. E’ Direttore presso la Struttura Universitaria di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Mauriziano Umberto I di Torino dove esegue interventi oltre che privatamente alla Clinica Sedes Sapientiae. Medico Consulente Ortopedico Juventus Football Club.

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Specialista in Ortopedia e Traumatologia, qualificato in Ortopedia Pediatrica.


Attualmente è Direttore di Struttura Complessa nel reparto di Ortopedia e Traumatologia Pediatrica Ospedale dei Bambini "Vittore Buzzi" di Milano. È un Bambino… non un piccolo uomo. Il bambino paziente è al centro dell’ universo. Non sono disposto ad accettare compromessi se la salute del bambino è in discussione.. Questa è la filosofia del Prof. sulla quale si basa il suo lavoro.

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Articolo di Dr. Marcello Sergio

Cos'è il fibroma uterino?

Il fibroma uterino è un tumore benigno provvisto di capsula, costituito da tessuto muscolare dell’utero. Questi fibromi si riscontrano solitamente in donne di età superiore ai 35 anni e più frequentemente in donne africane. La causa della loro comparsa è legata a fattori ormonali e, in particolare, a una condizione di iperestrogenismo relativo (ossia un aumento relativo di estrogeni), infatti sono rari prima dei 20 anni, tendono ad aumentare di volume in gravidanza, sono più frequenti nelle donne che non hanno partorito rispetto alle multipare e tendono a regredire in menopausa quando lo stimolo ormonale estrogenico viene meno.

Dimensioni dei fibromi all'utero

Le dimensioni di un fibroma uterino possono essere estremamente variabili, da molto piccoli (subcentimetrici) fino a volumi considerevoli, spesso si tratta di nodi multipli di fibroma che occupano l’intero volume dell’utero. La localizzazione rispetto alla cavità uterina è estremamente importante sia per i sintomi che comporta, sia per la diagnosi e l’approccio terapeutico.

I fibromi uterini possono essere:

I sintomi del fibroma uterino

La sintomatologia può variare a seconda della localizzazione.

I fibromi intramurali sono spesso causa di menometrorragie, ossia di cicli abbondanti e prolungati o vere e proprie emorragie, determinando a lungo andare uno stato anemico della paziente. Tendono a regredire o addirittura diventare calcifici in menopausa.

I fibromi sottomucosi possono anch’essi causare cicli abbondanti, perdite ematiche 

intermestruali o premestruali, fino a vere e proprie emorragie.

I fibromi sottosierosi possono essere silenti, ossia non dare alterazioni del ciclo, specie se sessili. Quelli peduncolati possono torcersi intorno al loro peduncolo. Tutti i tipi di fibroma tendono a crescere in gravidanza o dietro assunzione di estrogeni.

intermestruali o premestruali, fino a vere e proprie emorragie.

I fibromi sottosierosi possono essere silenti, ossia non dare alterazioni del ciclo, specie se sessili. Quelli peduncolati possono torcersi intorno al loro peduncolo. Tutti i tipi di fibroma tendono a crescere in gravidanza o dietro assunzione di estrogeni.

L’esecuzione dell’ecografia transvaginale è sicuramente da preferire alla ecografia pelvica addominale in quanto determina una migliore visualizzazione dell’utero e degli annessi. Inoltre, essendo un esame che deve essere eseguito a vescica vuota, si evita alla donna il disagio di dover bere l’acqua e presentarsi con la vescica piena prima dell’esame.

L’ecografia pelvica addominale è riservata alle pazienti che non hanno ancora avuto rapporti sessuali o in particolari situazioni da analizzare caso per caso.

L’ecografia transvaginale consente di individuare esattamente la sede del fibroma (se intramurale, sottomucoso o sottosieroso). Il fibroma intramurale è di più difficile diagnosi in quanto può avere una ecogenicità simile al tessuto miometriale circostante. Tuttavia, la presenza della capsula iperecogena puo’ definirne i contorni.

Il fibroma sottomucoso, di più facile diagnosi, tende a sporgere in maniera più o meno evidente all’interno della cavità uterina, deformando la rima endometriale.

Allo stesso modo, il fibroma sottosieroso deforma il contorno esterno dell’utero ed è quindi di facile identificazione. L’ecografia transvaginale, oltre la sede, identifica con precisione il volume, ossia le dimensioni del o dei fibromi.

Isteroscopia

Nella diagnostica del fibroma dell'utero, l’isteroscopia rappresenta un’indagine di II livello rispetto all’ecografia transvaginale e consente la visualizzazione diretta della cavità uterina.

In caso di sospetto diagnostico all’ecografia, con l’isteroscopia è possibile confermare la presenza di formazioni endocavitarie. Il fibroma sottomucoso si presenta come una formazione tondeggiante o ovalare, vascolarizzata, a larga base d’impianto. Molto spesso si tratta di fibromi intramurali a sviluppo più o meno endocavitario e grazie all’osservazione diretta isteroscopica è possibile identificarne il grado di “sporgenza” all’interno dell’utero e quindi la possibilità di eseguire una resezione isteroscopica del fibroma.

Come curare il fibroma uterino

L’approccio terapeutico ai fibromi uterini è strettamente legato alla sintomatologia. Se la paziente non presenta sintomi ed il fibroma viene evidenziato casualmente durante una visita ginecologica o una ecografia, non necessariamente necessita di un trattamento medico o chirurgico. Nel caso in cui si ipotizzi una crescita del fibroma durante la gravidanza ed il fibroma rappresenti un ostacolo per essa, può essere preso in considerazione l’intervento chirurgico.

La terapia dei fibromi sintomatici, ossia di quelli che determinano alterazioni del ciclo mestruale, può essere medica o chirurgica.

La terapia medica è rappresentata sostanzialmente da:

La terapia chirurgica è rappresentata dall’asportazione per via laparotomica di voluminosi fibromi sottosierosi o intramurali. La via laparoscopica è riservata ai fibromi sottosierosi e ad alcuni fibromi intramurali. L’approccio endoscopico o resezione isteroscopica è riservata invece ai fibromi sottomucosi.

L’isterectomia, ossia l’asportazione dell’utero in toto, deve essere proposta solo nei casi in cui, persistendo una sintomatologia meno-metrorragica, la terapia medica non ha comportato alcun beneficio, principalmente in caso di utero voluminoso e polimiomatoso.

 

Cosa sono i polipi endometriali?

I polipi endometriali sono costituiti da una iperplasia della mucosa uterina che risponde in maniera anomala agli stimoli ormonali. Le cause possono essere un iperestrogenismo relativo o un’insufficienza luteale. Si localizzano all’interno della cavità uterina e per questo sono responsabili di alterazioni mestruali (metrorragie, menorragie, spotting ematici).

Diagnosi ed esami strumentali

La diagnosi si avvale dell’ecografia transvaginale e dell’isteroscopia.

Con l’ecografia transvaginale è possibile evidenziare all’interno della cavità uterina una formazione tondeggiante, ben definita, ecogena. L’isteroscopia diagnostica consente la visualizzazione diretta del polipo rivestito da mucosa simile all’endometrio, sessile o peduncolato, di consistenza molle.

Il riscontro di un polipo del canale cervicale ad una visita ginecologica dopo l’applicazione dello speculum, deve sempre indirizzare ad una ecografia transvaginale e/o isteroscopia diagnostica, in quanto potrebbero rilevarsi analoghe formazioni all’interno della cavità uterina (polipo sentinella).

Come curare i polipi endometriali

La terapia dei polipi endometriali è essenzialmente chirurgica, mediante resezione isteroscopica. La terapia medica infatti difficilmente riesce a ridurre i sanguinamenti. La revisione della cavità uterina (raschiamento), essendo un trattamento “alla cieca”, di solito non consente l’asportazione totale del polipo.

I polipi endometriali spesso sono soggetti a recidive, per cui un controllo ecografico e/o isteroscopico è consigliabile.

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Articolo di Dr. Paolo Piana
Urologo

Quanta acqua bere?
La domanda cui è relativamente più facile rispondere riguarda la quantità di acqua da bere.

È infatti intuitivo che la semplice diluizione delle urine, se purtroppo non può sciogliere i calcoli già formati, certamente può invece portare beneficio almeno a tre livelli perché:

Riduce la precipitazione in cristalli dei sali che costituiscono i calcoli;
Rende più difficile l’aggregazione dei cristalli stessi;
Tramite l’aumento del flusso dell’urina, fa sì che eventuali piccoli aggregati vengano espulsi quando sono ancora di dimensioni tali da non dare disturbi al loro passaggio.
Si stima che una produzione di urina pari a un millilitro l’ora per kilogrammo di peso corporeo, sia in grado di impedire efficacemente la precipitazione dei sali nella gran parte dei soggetti. Per fare un esempio pratico parliamo quindi di circa 1,7 litri per un soggetto di 70 Kg.

Come produrre la giusta quantità di urine?
È ovvio che si dovrà introdurre un volume di liquidi significativamente maggiore e variabile in base alle perdite che avvengono nell’organismo per varie ragioni.

La più comune di queste ultime è la sudorazione, che impone un aumento del’introduzione di liquidi in ambienti caldi, ma anche nei soggetti che sudano molto nell’esplicare un’attività fisica, lavorativa o sportiva.

In particolare, gli sportivi spesso tendono a sottovalutare la necessità di reintegrare velocemente i liquidi, andando incontro a periodi di relativa disidratazione anche piuttosto lunghi. Praticamente, si deve ricordare a questi soggetti che, alla fine dell’attività, dovranno bere in modo da andare ad urinare dopo non oltre un’ora.

A parte questi casi particolari, il consiglio pratico da dare a tutti i soggetti a rischio di calcoli renali è di bere in modo da eliminare urine incolori o tenuemente paglierine (ad eccezione delle prime del mattino).
Qual è la giusta quantità di liquidi da assumere?
Questo si concretizza nell’assumere mediamente in una quantità di liquidi tra 1,5 e 2,5 litri al giorno.

È stato dimostrato che l’effetto è più favorevole quando almeno la metà di questi liquidi è costituita da acqua pura. Quantità ancora maggiori sono consigliate solo in casi molto particolari (es. calcoli di cistina), ma in tutte le altre situazioni non hanno alcuna reale giustificazione, anzi possono essere talora potenzialmente rischiose per l’equilibrio globale dei sali nell’organismo.

A margine di queste considerazioni, pare opportuno rimarcare che, se bere molta acqua è necessario nelle persone a rischio di calcolosi renale o hanno altri problemi alle vie urinarie, non è invece affatto dimostrato che assumere elevate quantità di liquidi sia così universalmente utile per tutti.

Questo mette in dubbio la reale efficacia di un modello di comportamento oggi abbastanza diffuso in alcuni ambienti e fasce d’età, stimolato più da condizionamenti pubblicitari che da reali necessità fisiologiche.
Quando bere acqua?
L’assunzione dei liquidi deve essere costante durante tutta la giornata.

Ovviamente l’acqua a digiuno è destinata a “passare” più velocemente, ma se si ha la costanza di bere uno - due bicchieri all’ora, la quantità totale, sommata ai liquidi assunti con i cibi, raggiunge facilmente il risultato consigliabile.

Quando NON bere acqua?
Vi sono invece situazioni particolari in cui bere e assumere liquidi è di fatto controproducente.

È oggi accertato che il dolore renale acuto, la cosiddetta colica renale, sia causato dalla brusca interruzione del flusso dell’urina dal rene alla vescica lungo l’uretere, il più delle volte a causa dell’impegno e passaggio di calcoli.

L'impedimento causa un aumento repentino della pressione all'interno del rene, che si percepisce come molto doloroso: in queste situazioni, l'intervento più appropriato è cercare di ridurre la pressione interna del rene.

Questo risultato si ottiene somministrando farmaci specifici con azione antidolorifica, in particolare gli anti-infiammatori non-steroidei (F.A.N.S.), ma anche riducendo il carico di filtrazione del rene, cioè diminuendo e addirittura sospendendo l’assunzione di liquidi.

Questo contrasta evidentemente con l’abitudine terapeutica di affrontare il dolore da colica renale somministrando sì degli antidolorifici, ma quasi sempre accompagnati da abbondanti liquidi per via endovenosa, quindi destinati ad arrivare quasi istantaneamente al rene.
Ma, anche al di fuori dell’episodio acuto, un elevato apporto di liquido è sconsigliabile finché non è chiara la causa dell’ostruzione, ad esempio la posizione e le dimensioni del calcolo, oltre alla eventuale presenza di dilatazione renale a monte.

Ed ancora, è ormai dimostrato quanto, nella progressione verso la vescica dei piccoli calcoli, non sia tanto la spinta posteriore dovuta al flusso di urina, quanto piuttosto la compiacenza stessa delle pareti dell’uretere. Su quest’ultima si agisce somministrando cortisonici e rilassanti specifici delle fibre muscolari, associazione nota come “terapia espulsiva”.

In pratica, se bere molta acqua è da considerarsi una eccellente misura preventiva, in presenza di calcolosi sintomatica, le indicazioni devono essere valutate con molta attenzione, caso per caso, evidentemente da uno specialista con competenza specifica nel trattamento della calcolosi urinaria.

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In ognuna di queste condizioni si genera un danno a tessuti, cute, muscoli, nervi, ossa, che possono essere coinvolti in varie combinazioni. Il
danno dei tessuti determina il rilascio di sostanze che producono infiammazione e stimolano alcune zone.

 

L’Ozono è in grado di trasformare le sostanze che producono infiammazione (ATP, H+, PROSTAGLANDINE, SEROTONINA, INTERLEUKINE) trasformandole in modo che non possano più produrre dolore; inoltre, favorendo il microcircolo e la nutrizione dei tessuti, attraverso una miglior ossigenazione, aiuta la guarigione. L’Ozono agendo contemporaneamente su molte sostanze dolorifiche prodotte dal danno dei tessuti, blocca simultaneamente molti composti che danno origine al dolore.

Se la terapia è fatta secondo protocolli specifici c’è un effetto a lungo termine dovuto:

1. alla denaturazione di proteine cellulari che producono sostanze algogene (cox, chininogeno, callicreina)

2. all’alterazione dei ricettori nervosi a cui si legano le sostanze che producono dolore, impedendone il legame.

3. al favorire l’espressione genetica dei geni coinvolti con funzioni protettive (anti - nocicettive) per l’organismo

LE ERNIE E LE PROTRUSIONI

Il trattamento delle ernie e delle protrusioni discali è il trattamento ha una funzione antidolorifica e curativa in quanto diminuisce il volume dell’ernia o della protrusione. Il trattamento non dà luogo a reazioni allergiche, tossiche e dolorose, pertanto il paziente può seguire una vita normale, priva di sforzi particolari durante la cura.

L’Ossigeno Ozono Terapia permette di:

1. ‘‘Essiccare’’ l’ernia

2. Togliere l’infiammazione locale

3. Decontrarre la muscolatura

4. Intervenire anche su ernie già operate

EFFETTO SULLA MACROVASCOLARIZZIONE DEI PIATTI CARTILAGINEI

1. Legame dell’Ozono con gli acidi grassi instauri e i perossidi degli eritrociti

2. Maggiore permeabilità della membrana degli eritrociti

3. Miglioramento della perfusione di O2 ai tessuti e degli scambi metabolici

4. Blocco della degenerazione discale

AZIONE ANTINFIAMMATORIA

Diretta:

• Ossidazione del doppio legame carbonioso

• Azione diretta sull’acido arachidonico

• Ridotta produzione di prostaglandine

Indiretta:

• Riattivazione del Microcircolo

• Rimozione di mediatori proflogogeni

• EFFETTO “WASH OUT

AZIONE ANTALGICA

1. Ridotta sensibilizzazione delle radici nervose

2. Azione diretta sulle fibre simpatiche del nervo sinuvertebrale

3. Ripristino del tono delle pareti vasali del plesso venoso periradicolare con conseguente riduzione dell’edema radicolare e decongestione del forame di coniugazione

4. Azione reflessoterapica dei trigger-point

AZIONE IMMUNOREGOLATRICE

Produzione di citochine

AZIONE DECONTRATTURANTE

1. Azione diretta sulle fibre muscolari

2. Azione indiretta di “RESET” di noci-propriocettori vertebrali

PROTOCOLLO DI TRATTAMENTO DELLE ERNIE E DELLE PROTRUSIONI DISCALI

I protocolli prevedono un ciclo di Ossigeno Ozono Terapia della durata variabile i funzione della tipologia di ernia e del protocollo di cura idoneo. Per l’applicazione paravertebrale 12 sedute (2/3 alla settimana, con necessaria regolarità) al quale è opportuno aggiungere un’appropriata attività fisica consigliata specificatamente caso per caso. Mediamente fra la 6a e l’8a seduta si inizia a riscontrare un miglioramento soggettivo con una netta diminuzione del dolore e una migliorata mobilità.E’ consigliabile una seduta di mantenimento al cambio di stagione (inverno/estate). Nel caso dell’applicazione intradiscale, nota anche come Ozonolisi, la somministrazione della miscela di OssigenoOzono avviene all’interno del disco intervertebrale. Il posizionamento dell’ago può avvenire sia con guida TAC che attraverso l’uso di un amplificatore di brillanza. L’OssigenoOzonoterapia intradiscale richiede una semplice anestesia locale ed è pressochè indolore. Rappresenta la tecnica di Ozonoterapia più vicina al concetto chirurgico di risoluzione del problema ernia discale. Si pone infatti come obbiettivo di decomprimere il disco riducendone il volume.

L’OZONO NEL TRATTAMENTO DEL DOLORE E NELLA RIABILITAZIONE

L’ozono agisce su molte manifestazioni dolorose causate da patologie come ad esempio:

• le ernie discali

• le lombalgie croniche artrosiche

• le coxalgie, le gonalgie, ed altre artropatie di natura artrosica

• le artriti

L’ossigeno ozono terapia è una metodica efficace e sicura: i risultati, molto favorevoli, sono evidenti sul piano della sintomatologia algica lombare, delle alterazioni posturali secondarie, della disabilità nelle ADL, del tono dell’umore e dello stato psicologico. Notevole importanza ha anche l’esercizio terapeutico; i parametri ottenuti dall’analisi statistica hanno messo in evidenza una maggiore riduzione della sintomatologia dolorosa, un miglioramento della disabilità e della qualità di vita, nonché una maggiore risoluzione del danno posturale secondario nei soggetti che hanno ricevuto la supplementazione con uno specifico trattamento rieducativo rispetto al gruppo sottoposto a solo trattamento con Ossigeno Ozono.

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Articolo di  Giulio Pezzella

Epicondilite o epicondilite laterale: di cosa si tratta?
Conosciuta anche come “il gomito del tennista”, l’epicondilite è definita come una tendinopatia inserzionale, cioè una patologia del tendine che si infiamma nel punto di inserzione sull’osso che interessa il tendine dell’ Estensore Radiale Breve del Carpo (ERBC).
Questo è un muscolo che si inserisce prossimalmente (cioè in alto) al gomito sulla parte più laterale (epicondilo) e distalmente (cioè in basso) alla base del 3° metacarpo della mano.


Che funzione hanno i muscoli epicondiloidei?
L’Estensore Radiale Breve del Carpo (ERBC), insieme agli altri muscoli “epicondiloidei” ha la funzione di estendere il polso e le dita della mano.


Cause di epicondilite
Il sovraccarico funzionale del polso e del gomito è sicuramente la causa principale di insorgenza dell’epicondilite. Non solo i carichi eccessivi possono essere causa della malattia, ma anche movimenti ripetitivi nel tempo (es. l’uso prolungato di un cacciavite o di un martello) possono portare all’insorgenza della malattia. Per tale motivo una categoria particolarmente esposta è quella dei lavoratori manuali che praticano attività pesanti.
Anche gli sportivi sono un categoria colpita frequentemente. Non solo i tennisti ma anche i golfisti, gli schermidori e bodybuilder sono spesso colpiti dall’epicondilite. In questi casi la causa va ricercata nell’errato utilizzo degli strumenti atti a praticare lo sport o una non perfetta preparazione atletica. Ed è a questo livello che bisogna intervenire, soprattutto per prevenire il problema.
Oltre al sovraccarico, anche professioni che obbligano i soggetti in posizioni coatte del gomito e del polso per lungo tempo (pianisti o impiegati con lunghi periodi alla tastiera del computer) possono far insorgere questa tendinopatia.


Come si presenta l’Epicondilite? Vediamo i sintomi
L’Epicondilite si manifesta con dolore sulla parte esterna del gomito (epicondilo) che si può irradiare lungo l’avambraccio, verso la mano.

- la pressione sull’epicondilo è particolarmente dolorosa
- la parte anatomica può apparire più gonfia rispetto all’altro braccio
- il dolore può essere presente anche di notte
- la mattina, al risveglio, quindi a freddo, si ha difficoltà nell’estendere il gomito.


Il dolore è sordo, sempre presente e si risveglia con il movimento, sia banale che durante gli sforzi.
Il sollevamento di pesi può aumentare il dolore, ma anche altri movimenti banali quali:

- il girare la chiave nella toppa,
- versare dell’acqua dalla bottiglia
- girare il volante dell’auto.

Anche l’estensione del polso può risvegliare il dolore al gomito: non dimentichiamoci che il muscolo responsabile delle malattia (Estensore Radiale Breve del Carpo – ERBC) si inserisce sul dorso della mano.


Come si esegue la diagnosi di Epicondilite?
Una precisa diagnosi è fondamentale per la risoluzione del problema. Altre patologie possono far insorgere dolore sulla parte esterna del gomito e spesso l’epicondilite è confusa con una di queste.


Diagnosi differenziale dell’Epicondilite.

Patologie Muscolo-Tendinee
Sindrome compartimentale cronica dei muscoli estensori o dell’anconeo (muscolo che si trova sulla parte esterna del gomito).

Patologie Legamentose
Instabilità rotatoria postero-laterale per lesione del LUCL (Legamento Ulnare Collaterale Laterale: legamento che stabilizza lateralmente il gomito).

Patologie articolari
1. Plica sinoviale omero-radiale/sinoviti
2. Artrosi o condropatie della radio-omerale
3. Osteocondrite dissecante del condilo omerale
4. Panner Disease

Patologie Neurologiche
1. Compressione del nervo interosseo posteriore (NIP) all’arcata di Frhöse
2. Nevralgia da Ernia del Disco e discopatie cervicali

PatologieTumorali
Oltre all’anamnesi (il tipo di dolore, l’età del paziente, tipo di lavoro, attività sportiva svolta, eventuali malattie sistemiche, abitudini di vita, ecc.) è molto importante la visita specialistica. Questa comprende:
1. ispezione del gomito
2. palpazione delle varie componenti anatomiche e
3. valutazione dell’escursione articolare
4. tutti elementi fondamentali che indirizzano verso una diagnosi.

Nel caso di epicondilite si può osservare una tumefazione in corrispondenza dell’epicondilo (dovuta all’edema) e la pressione su di questo risveglia particolare dolore intenso (soprattutto se si esegue con il pugno della mano del paziente chiuso con forza). Il dolore si può irradiare lungo il ventre muscolare sia nei movimenti che a riposo.
Anche lo stretching di questi può risvegliare il dolore e se si pratica resistenza del dito medio della mano col polso in estensione forzata il paziente accusa dolore sull’epicondilo.

L’articolarità (cioè la capacità di chiudere e aprire il gomito) risulta, di solito, nella norma: una limitazione articolare ci deve far pensare ad una patologia diversa (es. artrosi).
Una volta formulata la diagnosi clinica di epicondilite, bisogna richiedere degli esami strumentali che ci confermino o meno il sospetto diagnostico.

 

Gomito del tennista: quali esami sono necessari?
L’esame principe è l’ecografia. Questa deve essere fatta da specialisti in centri altamente qualificati. È da ricordare, infatti, che l’ecografia è un esame altamente operatore/dipendente e un esame fatto in un centro non qualificato o da specialisti con scarsa esperienza è spesso errato e fuorviante.
L’esame inoltre, deve essere eseguito con un sospetto diagnostico preciso. Spesso il paziente si presenta con un esame ecografico già eseguito, senza una precisa indicazione e non di qualità: questo si traduce in perdita di tempo e di risorse economiche da parte del paziente stesso.
L’ecografia, se positiva, mostrerà una degenerazione delle fibre tendinee (che possono essere interessate anche da lesioni lacerative), con edema e, a volte, possono essere presenti delle calcificazioni.
C’è da precisare che l’epicondilite è una tendinopatia degenerativa dell’inserzione del tendine (entesopatia) e spesso è presente dopo una certa età o in pazienti sottoposti a sforzi, anche in assenza di sintomi.
Per formulare una precisa diagnosi, quindi, bisogna mettere in relazione la clinica positiva per epicondilite (la reale presenza di epicondilite), con l’esame ecografico.
L’esame radiografico non è un esame specifico per l’epicondilite. Può essere utile per evidenziare eventuali calcificazioni (peraltro visibili anche ecograficamente) o per escludere patologie degenerative articolari (artrosi).

La Risonanza Magnetica (RM), anche se molto precisa, è un esame da richiedere solo in casi particolari:
1. per formulare una diagnosi differenziale più precisa, se la clinica non è chiara
2. quando, dopo il fallimento della terapia non chirurgica, si decide di operare il paziente (in questo caso risulta utile per una ulteriore conferma della diagnosi di epicondilite o per rilevare eventuali altre patologie).

Anche in questo caso, come per l’ecografia, c’è da fare una precisazione sul tipo di esame: un esame RM risulta essere preciso se eseguito con apparecchiature di ultima generazione e ad alto campo.


Come si cura l’Epicondilite? È vero che guarisce da sola?
Partiamo da un concetto, oramai appurato:
l’epicondilite, come dimostrano anche gli ultimi studi clinici è spesso una patologia autolimitante, che si risolve spontaneamente col tempo. [1]

Questo è un concetto fondamentale che ci porta a due considerazioni:

1. le varie terapie conservative (non chirurgiche) sono utili per accorciare i tempi di guarigione, in considerazione del fatto che questa spesso è spontanea.
2. La chirurgia va riservata solo a casi particolari dove, nonostante le varie terapie specifiche e il tempo intercorso dall’insorgenza della malattia, la sintomatologia permane.

 

Terapia conservativa (non chirurgica) dell’epicondilite.
Come detto, è la prima scelta. Innanzi, tutto si deve cercare di limitare l’attività che ha portato all’insorgenza della malattia con il riposo assoluto.
L’uso degli antinfiammatori si dimostra utile solo per limitare il dolore nel caso in cui questo si rivela insopportabile, ma il loro effetto risulta limitato nel tempo.
A volte pare utile l’ausilio di fasce antibrachiali (fascia che si pone proprio al di sotto del gomito, a livello dell’epicondilo) durante l’attività lavorativa, ma non sempre si dimostrano efficaci.
Al contrario (in contemporanea alle varie terapie fisiche e infiltrative locali che vedremo in seguito) si dimostra utile l’applicazione di un tutore di polso in leggera estensione per allentare la tensione dell’estensore (ERBC), che come abbiamo precisato, si inserisce sotto (distalmente) alla mano.


Questa diminuzione di tensione muscolare porta beneficio anche alla sua inserzione prossimale (in alto) a livello dell’epicondilo.
Le terapie locali proposte sono molteplici e vanno da:

- terapie fisiche: (applicazioni di ultrasuoni, di onde d’urto, di onde laser, di campi elettromagnetici pulsati e ionoforesi)
- agopuntura
- infiltrazioni a base di PRP o altri emoderivati autologhi, di corticosteroidi o di tossina botulinica.

Alcune di queste terapie hanno un effetto rapido, ma breve. Altre hanno effetto più duraturo ma che si rileva con maggior lentezza. Non esiste uno schema preciso concordato in letteratura, ma ogni specialista ha la sua formula personale, dettata dalla propria esperienza. Sicuramente, indipendentemente dalla terapia locale prescelta, va associata della kinesiterapia al gomito, atta, soprattutto a ridare un buon bilanciamento muscolare.


Terapia chirurgica del gomito del tennista.
L’intervento, in caso di epicondilite, non è assolutamente la prima scelta e va riservata nei casi dove la terapia conservativa ha fallito ed è passato un lungo periodo di tempo dall’insorgenza della malattia.
Gli interventi chirurgici possono essere eseguiti con la tecnica classica a cielo aperto (incidendo la cute) o in artroscopia (eseguendo 2 fori laterali al gomito).

A cielo aperto eseguiamo:
- l’intervento di Hohmann, che prevede il distacco del tendine dall’epicondilo e perforazioni ossee
- l’intervento di Nirschl, che consiste  nell’asportazione del tendine degenerato, associato o meno alle perforazioni.

Con la tecnica artroscopica eseguiamo l’intervento proposto da Baker nel 1995.
Attraverso i 2 fori laterali del gomito, introduciamo, in uno, una piccola telecamera e, attraverso le immagini visionate su un monitor con visione 8, 10 volte maggiore rispetto al normale, eseguiamo il distacco del tendine dall’interno del gomito, introducendo gli strumenti chirurgici nel 2° foro.
Il vantaggio di questa tecnica è quello di valutare eventuali patologie concomitanti (condropatie, sinoviti, ecc.) ed eseguire, se possibile, un trattamento di queste. Lo svantaggio è che non sempre è fattibile, in quanto, se i tendini sono particolarmente degenerati, il semplice distacco tendineo è insufficiente, e quindi bisogna intervenire a “cielo aperto”, per asportare il tessuto tendineo degenerato.

Indipendentemente dalla tecnica chirurgica eseguita, dopo i primi giorni di riposo si deve fare una buona rieducazione assistita che prevede dello stretching degli epicondiloidei associato a ginnastica per ristabilire l’equilibrio delle muscolatura dell’avambraccio.


Quali sono i tempi di guarigione dopo un intervento chirurgico per la cura dell’Epicondilite?
Il ritorno alla vita di relazione normale (guidare, vestirsi, essere indipendente ed eseguire lavori quotidiani senza particolari difficoltà) si ha dopo 2-4 settimane. Il benessere quasi completo (solo qualche disturbo saltuario) dopo circa 3 mesi. L’attività sportiva specifica eseguita con l’arto operato (tennis, golf, scherma, ecc.) dopo circa 6 mesi. Con la tecnica artroscopica si accorciano leggermente i tempi di guarigione immediata, mentre rimangono invariati i tempi per la ripresa funzionale completa.

 

Bibliografia
Lian J et al.Comparative efficacy and safety of nonsurgical treatment options for enthesopathy of the extensor carpi radialis brevis: a systematic review and meta-analysis of randomized placebo-controlled trials. Am J Sports Med. 2018 Oct 31

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Si occupa della gestione del paziente affetto da cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, cardiopatia valvolare e strutturale.


Nel 2010 si laurea in Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Milano, dove nel 2017 ottiene il diploma di specializzazione in Malattie dell'Apparato Cardiovascolare. Dal 2012 al 2017 svolge attività formativa, nell'ambito del percorso della Scuola di Specializzazione, presso il Centro Cardiologico Monzino. È cardiologo delle Unità di Cardiologia Clinica, Interventistica e di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC) dell’IRCCS Policlinico San Donato. Svolge inoltre attività di diagnostica ecocardiografica

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Specialista in Chirurgia Generale e Chirurgia Mininvasiva della parete addominale.


Ha lavorato all’estero e attualmente è Dirigente Medico di Chirurgia all’Ospedale di Chivasso. Si occupa prevalentemente di Chirurgia della parete addominale, anche a livello di ricerca per lo sviluppo di materiali protesici. Inoltre è istruttore internazionale di Chirurgia della Parete Addominale, realizzando interventi in diretta a numerosi congressi internazionali (soprattutto dell’area iberoamericana).

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Specialista in Neurologia.


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Specialista in Neurochirurgia


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Specialista in Chirurgia Vascolare.


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Specializzazione in Radiodiagnostica.


Dal 13-03-2007 Dirigente medico di I° livello presso l’UB di Radiologia di Aosta. Effettua ecografie sia addominali e osteoarticolari e sii occupa inoltre di GAET (Grande Auto Emo-Trasfusione o Auto Emo-Terapia) ovvero una procedura che consiste nel prelevare al paziente una quantità di sangue cui fa seguito l’arricchimento con una miscela gassosa di Ossigeno-ozono all’interno dell’apposita sacca di prelievo. Questa tecnica consente di ossigenare il sangue, ciò comporta un miglioramento della circolazione sanguigna e dell’ossigenazione di tutti i tessuti, con ottimizzazione della loro funzionalità. In sostanza si verifica un’azione rigenerante, con miglioramento del tono umorale e muscolare, della resistenza fisica e riduzione della fatica. Inoltre, la miscela di ossigeno-ozono induce la liberazione nel sangue di sostanze particolari che esercitano un potente stimolo sul sistema immunitario, regolarizzandolo e aumentando le difese del nostro organismo

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Specialista in Urologia.


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Specialista in Ginecologia ed Ostetricia.


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Specialista in Scienze della Nutrizione Umana.


Il suo obiettivo è quello di aiutare le persone a intraprendere la via giusta per il proprio benessere psicofisico, capire ciò di cui ogni singoli individuo ha bisogno e sostenerlo passo passo fino al raggiungimento del suo obiettivo

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Specialista in Psicologia Clinica.


In servizio presso il reparto di psicologia clinica all’Ospedale degli Infermi dell’ASL di Biella e collabora dal 2010 con il Fondo Edo Tempia come psicologa, psicoterapeuta.

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L’ecografia è una metodica diagnostica non invasiva che utilizzando ultrasuoni (onde sonore) emessi da particolari sonde appoggiate sulla pelle del paziente, consente di visualizzare organi, ghiandole, vasi sanguigni, strutture sottocutanee ed anche strutture muscolari e tendinee in numerose parti del corpo.

Durante l’esecuzione dell’ecografia, l’area da esaminare viene inumidita con un apposito gel, non tossico, che consente una migliore trasmissione degli ultrasuoni attraverso il corpo umano.

L’ecografia costituisce uno dei primi approcci allo studio del corpo umano, fatta eccezione della parte scheletrica e delle strutture interne alla scatola cranica. Gli ultrasuoni, infatti, non sono in grado di studiare le strutture ossee; sono, invece, molto utilizzate per lo studio del collo (tiroide, linfonodi), dell’addome (fegato, reni, milza, pancreas, eccetera), della pelvi (vescica, utero, ovaie, prostata), delle vene e delle arterie (carotidi, aorta, eccetera), dell’apparato muscolare (muscoli, tendini, legamenti).

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L’Ortopedia Pediatrica è una branca della Chirurgia Ortopedica e Traumatologica che si occupa delle lesioni e dei disturbi muscolo-scheletrici dei bambini e degli adolescenti. È nota anche con il nome di Traumatologia Infantile, Ortopedia Infantile e Chirurgia Ortopedica Infantile. 

Gli esempi più frequenti di lesioni infantili sono le malformazioni dei piedi, i disturbi dell’andatura, la displasia dell’anca, ecc. Questi problemi possono essere ereditari, congeniti o acquisiti.

Come per altri campi della medicina, la diagnosi precoce può aiutare a prevenire un problema ortopedico durante l’infanzia, ciò significa ricevere un miglior trattamento e una correzione più rapida della malformazione. Tra le patologie trattate dall’ortopedia infantile vi sono:

Inoltre, come esempi più frequenti è possibile annoverare:

Essa comprende tutte le sotto-specializzazioni dell’ortopedia dell’adulto, tuttavia i professionisti che si dedicano a questa disciplina ricevono una formazione specifica nei problemi ortopedici congeniti o acquisiti dei bambini e degli adolescenti, giacché le lesioni cambiano e l’organismo risponde in modo diverso a seconda dell’età del paziente. Ciò soprattutto durante le varie tappe dell’infanzia, quando i muscoli e le ossa sono in continua crescita e sviluppo. Per questo motivo, i principi dell’ortopedia stabiliscono che è fondamentale identificare ed eseguire una diagnosi precoce di una qualsiasi patologia ortopedica, al fine di somministrare un trattamento adeguato.

E' necessario consultare un ortopedico pediatrico quando si riscontra un problema nel bambino, è importante consultare uno specialista in ortopedia. Egli potrà, infatti, eseguire un esame fisico completo per valutare il raggio del movimento articolare, identificare le zone di dolore, in caso di versamenti cercare articoli in letteratura e verificare la stabilità dell’articolazione. Inoltre, è importante che lo specialista in questione si concentri sulle aeree della crescita, alle estremità delle ossa, la zona più suscettibile di soffrire di lesioni nei primi 20 anni di vita di un individuo.

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Specialista in Ortopedia e Traumatologia e specialista in Chirurgia della Mano.


Leader faculty di artroscopia di polso e gomito della Società Italiana di Artroscopia (SIA). Oltre alle normali procedure chirurgiche alla mano (Sindrome del Tunnel Carpale, Dito a Scatto, M. di Dupytren, ecc) e al gomito, esegue interventi chirurgici in artroscopia dell'arto superiore.

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Specializzato in Cardiologia.


Si è sempre occupato di tale branca specialistica lavorando dapprima presso la Cardiologia dell’Ospedale di Biella e successivamente presso la Clinica La Vialarda, ove ha ricoperto il ruolo di responsabile dell’Unità Funzionale di Cardiologia. Nel corso della sua carriera si è prevalentemente occupato di cardiologia clinica ed ha maturato particolare esperienza nelle metodiche non invasive quali ECG, test ergometrico, ecocardiografia, frequentando anche strutture di elevato livello scientifico sia in Italia che in Europa e negli Stati Uniti.

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Specialistica in Ginecologia e Ostetricia esperta in Medicina della Riproduzione.


Esperta in: Cura e conservazione della fertilitá Riproduzione Assistita PGD (disgnostica genetica Pre-Impianto), nei casi di coppie sierodiscordanti e nei trattamenti di donazione con pazienti residenti all'estero. D'altra parte, la preservazione della fertilità è stato uno dei campi di studio in cui ha maggiormente operato negli ultimi anni. Esperta da più di 10 anni nella diagnosi e nel trattamento di tutti i tipi di casi speciali molto complessi legati alla riproduzione assistita. Negli anni ha sviluppato un profondo interesse per la ricerca scientifica focalizzata sulle più avanzate tecniche di conservazione della fertilità.La Dott.ssa Moffa, assume la Direzione Medica di Fertilab Barcelona, dopo aver frequentato l'Institut Marquès, entra a far parte di un progetto nel quale, al di là dell'eccellenza medica, si impegna ad un approccio basato sullo stato di cura del paziente ponendolo al centro della attività.

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L'ecografia ginecologica è un'indagine semplice e non invasiva che si basa sull'emissione e sulla ricezione di ultrasuoni. Quest'esame consente di valutare la dimensione e la forma degli organi interni dell'apparato riproduttivo femminile, come ovaie e utero, e le aree anomale all'interno di essi, come cisti, alcuni tumori e malformazioni. L'ecografia ginecologica non prevede, invece, l'uso di radiazioni ionizzanti o l'iniezione di sostanze radioattive; gli ultrasuoni sono innocui per la paziente che viene sottoposta all'esame e non comporta alcun tipo di rischio immediato o nel lungo termine.

Durante l'ecografia ginecologica, una sonda che viene posizionata in corrispondenza dell'area anatomica da esaminare; gli ultrasuoni emessi dall'ecografo vengono riflessi dai tessuti, quindi sono ricaptati per essere elaborati da un calcolatore informatico che restituisce le immagini in tempo reale su un monitor. La propagazione degli ultrasuoni varia in base alla diversa densità degli organi che incontrano.

A seconda del posizionamento della sonda, l'ecografia ginecologica si può distinguere in:

Ecografia pelvica o transaddominale (ecografia ginecologica esterna), quando la sonda viene appoggiata sulla pelle in corrispondenza della parte inferiore dell'addome;

In ginecologia, l'ecografia pelvica (esterna) può essere eseguita in sostituzione oppure a completamento dell'esame ecografico transvaginale, in particolare quando lo studio interno non è strettamente indicato (es. adolescenti o donne vergini).

Ecografia transvaginale (ecografia ginecologia interna), quando la sonda ecografica viene introdotta nel canale vaginale;’ecografia transvaginale è un esame diagnostico-strumentale ginecologico non invasivo molto comune. Può essere bidimensionale o tridimensionale, si associa abitualmente alla visita ginecologica e permette di valutare gli organi riproduttivi interni e gli organi circostanti attraverso una sonda posizionata in vagina. Entrata in uso per individuare malformazioni dell’utero, l’ecografia transvaginale è oggi fondamentale per individuare e diagnosticare svariati disturbi e patologie. 

L’ecografia transvaginale è un esame particolarmente utile poiché consente di osservare in modo sicuro e veloce utero, ovaie e tube di Falloppio (o salpingi), nonché gli organi circostanti, come vescica, ureteri, retto e sigma.

Ecco perché nella pratica quotidiana l’esame ecografico ginecologico ha oggi molte indicazioni: 

 

L’ecografia ostetrica è un esame che consente di visualizzare su un monitor il feto contenuto nell’utero materno, attraverso l’utilizzo di una sonda che, appoggiata sull’addome della madre, indirizza sullo stesso feto onde sonore ad alta frequenza, del tutto innocue e non udibili dall’orecchio umano.

Si tratta di un esame sicuro, preciso e non invasivo.

Nel corso di una gravidanza normale devono essere eseguite almeno tre ecografie ostetriche, nel primo trimestre (in genere tra la 11a e la 13a settimana), nel secondo (a 19-22 settimane) e nel terzo trimestre (a 30-34 settimane). L’esame può essere ripetuto più volte, o eseguito in periodi differenti della gravidanza, su indicazione del medico.

Con la prima ecografia, chiamata anche “Office” ed eseguita a supporto della visita ostetrica, è possibile visualizzare il numero dei feti – verificando che si tratti o meno di un parto gemellare – l’attività del cuore del feto e i movimenti del feto stesso. In seguito all’esecuzione di questa ecografia il medico riesce a determinare il periodo esatto della gravidanza.

Con la seconda ecografia, detta “morfologica” vengono misurati gli organi fondamentali del feto – la testa, l’addome e il femore fetale, la colonna vertebrale – e le misurazioni ottenute vengono confrontate con quelle delle curve di riferimento. Un’operazione che permette di verificare che il feto abbia le dimensioni giuste, proprie del periodo esaminato, e non presenti malformazioni. Alcune malformazioni, però, possono non essere individuate attraverso l’ecografia.

Si ritiene che, ad oggi, un esame ecografico non mirato sia in grado di individuare dal 30% al 70% di tutte le malformazioni. Il buon risultato dell’ecografia morfologica dipende anche dalla posizione assunta dal feto. Se ci si trova di fronte a un “dorso anteriore”, l’indagine ecografica del cuore risulta parzialmente inficiata e soprattutto risulta incompleta, tanto che spesso richiede un’ulteriore valutazione, da concordare all’atto dell’esame.

La terza ecografia, detta di “accrescimento”, serve soprattutto per verificare la crescita del feto, facendo riferimento agli stessi organi misurati nella “morfologica”, calcolandone anche il peso.

Nel caso in cui si registrino patologie della crescita, possono essere programmati controlli ecografici aggiuntivi, per monitorare l’andamento della gravidanza fino al termine ostetrico.

Lo stato di forma della donna che si sottopone all’ecografia ostetrica può influire sull’esito dell’esame: una donna gravida obesa rappresenta un fattore limitante importante all’esame ecografico, dal momento che la presenza di grasso in eccesso riducela la sensibilità (“detection rate”) dell’indagine stessa.

 
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L'ortopedia è una branca specialistica della chirurgia che si occupa dello studio e del trattamento delle patologie dell'apparato locomotore. Essa, tradizionalmente, comprende la traumatologia, nonostante tale disciplina sia sempre più considerata multidisciplinare, visto che non può non avvalersi di diverse competenze specialistiche (medicina d'urgenza, rianimazione, chirurgia plastica, chirurgia vascolare, radiologia interventistica ecc.)

In altre parole, il medico chirurgo specialista in ortopedia e traumatologia deve aver maturato conoscenze teoriche e sviluppato capacità pratico-professionali nel campo della fisiopatologia e terapia sia medica sia chirurgica (correttivo-conservativa, ricostruttiva e sostitutiva) delle malattie dell'apparato locomotore nell'età pediatrica e adulta con specifici campi di competenza nella semeiotica funzionale e strumentale, nella metodologia clinica e nella terapia in ortopedia, nella chirurgia della mano e nella traumatologia, compresa la traumatologia dello sport, nonché nelle patologie a carattere oncologico di pertinenza.

Fra le patologie più spesso trattate dall'ortopedico sono incluse:

 

Prima di procedere con un intervento chirurgico l'ortopedico cerca, se possibile, di risolvere il problema con approcci meno invasivi, come la prescrizione di farmaci o di iniezioni specifiche, la riabilitazione o la fisioterapia. Quando questi trattamenti non sono più sufficienti a controllare i sintomi può diventare indispensabile ricorrere alla chirurgia.

Un appuntamento con l'ortopedico può essere una buona idea in caso di problemi alla schiena, alle spalle, all'anca, alle ginocchia o alle caviglie. I sintomi che possono indirizzare da questo specialista sono:

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Specialista in Ortopedia e Traumatologia


Segue in particolare le patologie legata al piede, a 360 gradi, ma si occupa anche di protesi dell'anca, lesioni al crociato, piede piatto nei bambini, alluce valgo nelle persone anziane.

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Il Pap test è un esame diagnostico utilizzato per la prevenzione del tumore del collo dell’utero (cervice uterina). Il suo nome deriva dal cognome del medico (GeorgiosPapanicolaou) che lo inventò e lo propose alla classe medica negli anni Quaranta. Consiste in un prelievo di cellule dal collo dell’utero e dal canale cervicale. Le cellule vengono poi fissate su un vetrino ed esaminate in laboratorio. Il prelievo delle cellule della parte più esterna del collo uterino avviene tramite una piccola spatola di legno (spatola di Ayre), mentre quelle intracervicali vengono prelevate con uno spazzolino morbido o una specie di cotton-fioc.

l Pap test è un esame che consente di individuare le anomalie delle cellule del collo dell’utero che precedono di molti anni l’insorgenza di un tumore. Consente quindi di ridurre il rischio di diagnosticare il tumore quando si trova giàin uno stadio avanzato, potendolo così trattare in modo conservativo.

Già all’inizio dell’attività sessuale le donne sono esposte a diversi fattori di rischio per lo sviluppo del tumore cervicale. Tra questi il più importante è l’infezione da Human papilloma virus (HPV), un virus che causa lesioni genitali ed è considerato la prima causa di tumore della cervice uterina. Proprio per questo motivo le indicazioni più recenti suggeriscono che al pap test vada abbinata anche la ricerca del DNA virale.

ll Pap test è un esame che consente di individuare le anomalie delle cellule del collo dell’utero che precedono di molti anni l’insorgenza di un tumore. Consente quindi di ridurre il rischio di diagnosticare il tumore quando si trova già in uno stadio avanzato, potendolo così trattare in modo conservativo.

Il pap test può essere effettuato in tutte le fasi del ciclo mestruale, eccetto che nella fase di flusso pieno. Il sangue mestruale potrebbe infatti oscurare la corretta visione delle cellule cervicali. Se le mestruazioni dovessero sopraggiungere in prossimità del test, è necessario rimandare l’esame e concordare un nuovo appuntamento. L’uso di contraccettivi orali o locali o la presenza della spirale intrauterina non interferiscono con il risultato del test.

Tutte le donne dovrebbero sottoporsi al pap test, dall’età in cui si inizia ad avere rapporti sessuali, fino, almeno, ai 65-70 anni
Le donne vaccinatecontro l’Hpv devono ugualmente sottoporsi regolarmente al Pap test perché, anche se il rischio di tumore al collo dell’utero è meno elevato, non è mai del tutto assente. Il pap test può essere effettuato anche in gravidanza, senza che questo arrechi danni al feto o al decorso della gravidanza stessa.
Le donne vergini possono eseguire il pap test, anche se hanno un rischio praticamente inesistente di sviluppare il tumore della cervice.

L’esame non è né doloroso né pericoloso, fatta eccezione per il disagio che qualche donna può avvertire in maniera più evidente durante il prelievo. Le persone che soffrono di allergia al lattice devono avvisare i sanitari per la scelta di guanti idonei alla procedura.

Il Pap test è un esame semplice e veloce. Dura pochi minuti e può essere eseguito dal ginecologo in ambulatorio durante le visite di routine, oppure essere effettuato da personale paramedico (ostetrica). L’esame si effettua dopo aver introdotto in vagina lo speculum, in modo da rendere visibile la cervice uterina. Il prelievo avviene passando e ruotando delicatamente la spatola di Ayre sul collo dell’utero e in seguito introducendo un tampone o uno spazzolino (cytobrush) nel primo tratto del canale cervicale. Il materiale così ottenuto, viene strisciato su un vetrino, fissato con una apposita sostanza e, in un secondo momento, colorato e valutato dallo specialista citologo.

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La chirurgia vascolare è quel ramo della chirurgia che si occupa di intervenire chirurgicamente per risolvere o migliorare la prognosi delle patologie che interessano i vasi sanguigni dell’organismo, utilizzando tecniche di riparazione, derivazione, sostituzione e rimozione.

l chirurgo vascolare è un chirurgo specializzato negli interventi condotti sui vasi sanguigni dell’organismo, il cui obiettivo è curare o migliorare la prognosi delle patologie che interessano questi organi.

Le patologie più spesso trattate da questo chirurgo sono:

 

Quali sono le procedure più utilizzate dal chirurgo vascolare

Le procedure più utilizzate dal chirurgo vascolare dal punto di vista interventistico sono:

Dal punto di vista prettamente diagnostico:

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Il cardiologo si occupa della diagnosi, del trattamento e della cura delle malattie che colpiscono cuore e arterie. Non è invece suo compito intervenire chirurgicamente per risolverle poiché i trattamenti in sala operatoria sono eseguiti dal cardiochirurgo.

Una visita cardiologica consiste in un’accurata anamnesi, seguita da un esame obiettivo che prevede l’auscultazione del cuore e un elettrocardiogramma (ECG).
In base alle informazioni raccolte il cardiologo può poi ritenere opportuno eseguire ulteriori accertamenti, prescrivendo ad esempio:

Una volta completato l’iter diagnostico, il cardiologo può prescrivere i farmaci o i trattamenti più opportuni, come ad esempio:

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L’ecografia apparato urinario è un’indagine che attraverso una sonda ad ultrasuoni appoggiata esternamente sull’addome ci permette di studiare i reni e la vescica (gli ureteri, cioè i condotti che trasportano l’urina dai reni alla vescica non sono invece visualizzabili a causa delle loro piccole dimensioni, a meno che non siano molto dilatati). Per potere essere adeguatamente studiata la vescica deve essere ben distesa dall’urina.

Per effettuare l’ecografia apparato urinario il paziente, a cui è richiesta collaborazione circa le apnee respiratorie (inspirio ed espirio), viene disteso supino sul lettino ecografico e liberato dai vestiti per consentire di appoggiare la sonda ecografica direttamente sull’addome.

L’ecografia apparato urinario viene eseguita per verificare la presenza o l’assenza di calcoli nei reni e/o negli ureteri (piccoli condotti che collegano i reni alla vescica e dove i calcoli potrebbero rimanere intrappolati).

L’esame è utile anche per evidenziare dilatazioni degli reni e degli ureteri, anomalie congenite (rene “a ferro di cavallo”, rene ptosico), lesioni cistiche ed in generale formazioni di tipo benigno e maligno.

L’ecografia apparato urinario termina con la valutazione della vescica della quale si studia la forma, le pareti, eventuali ispessimenti o vegetazioni endoluminali (che si trovano cioè al suo interno). Inoltre, è utile per valutare se la vescica si svuota completamente dopo avere urinato (residuo post-minzionale).

Perchè l'ecografia abbia esito posito di consiglia di:

Se il paziente ha effettuato correttamente la preparazione il radiologo è maggiormente facilitato nell’individuare dei calcoli che si trovano nei reni. Non è sempre facile localizzare i calcoli che dai reni sono già transitati negli ureteri (tubicini che collegano i reni alla vescica). In taluni casi la presenza di un calcolo è presunta da segni indiretti (dilatazione degli ureteri). È possibile che in seguito a tale esame possa essere richiesta una Uro-TAC

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L'ecocardiografia utilizza gli ultrasuoni per produrre immagini del cuore, delle valvole cardiache e dei grandi vasi. Permette di valutare lo spessore parietale (p. es., nei casi di ipertrofia o atrofia) e la cinesi e fornisce informazioni in merito all'ischemia e all'infarto. Può essere utilizzata per valutare la funzione sistolica così come del riempimento diastolico del ventricolo sinistro, utili nella valutazione di ipertrofia ventricolare sinistra, di cardiomiopatia ipertrofica o restrittiva, di scompenso cardiaco grave, di pericardite costrittiva. Viene anche utilizzato per valutare la struttura e la funzione delle valvole cardiache; individuare vegetazioni valvolari e trombi intracardiaci; e fornire una stima della pressione arteriosa polmonare e della pressione venosa centrale.

 L'ecocardiografia transtoracica è la più comune tecnica ecocardiografica.
Nell'ecocardiografia transtoracica, una sonda viene posizionata lungo il margine sternale sinistro o destro, all'apice del cuore, a livello della fossa soprasternale (per permettere la visualizzazione della valvola aortica, il tratto di efflusso ventricolare sinistro e l'aorta discendente) o anche in corrispondenza della regione sottoxifoidea. L'ecocardiografia transtoracica, fornisce immagini tomografiche bidimensionali o tridimensionali della maggior parte delle principali strutture cardiache. L'ecocardiografia transtoracica è una tecnica di imaging relativamente poco costosa e non invasiva per la diagnosi della funzionalità ventricolare destra e sinistra e del movimento della parete, delle dimensioni e dell'anatomia della camera, della funzionalità della struttura valvolare, della struttura della radice aortica e delle pressioni intracardiache.
 

 

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La neurologia è la branca della medicina che si occupa dello studio e del trattamento dei disturbi del sistema nervoso, sia quello centrale (il cervello e il midollo spinale) che quello periferico (costituito da tutti gli altri elementi nervosi, incluse le strutture presenti negli occhi, nelle orecchie e nella pelle).

Il neurologo è un medico specializzato in neurologia. Si occupa della diagnosi e del trattamento dei problemi che colpiscono il cervello, il midollo spinale e i nervi, senza però ricorrere alla chirurgia, ambito di azione del neurochirurgo.
Molti neurologi sono ulteriormente specializzati in un settore della neurologia, ad esempio nel trattamento di ictus, epilessia, problemi neuromuscolari, disturbi del sonno, del dolore, dei tumori del sistema nervoso o dei problemi tipici della terza età.

Le patologie più spesso trattate dal neurologo sono:

Una visita neurologica è utile quando si sospettano problemi al sistema nervoso centrale. Fra i sintomi che dovrebbero far scattare il campanello d'allarme sono inclusi difficoltà di coordinazione, debolezza muscolare, alterazioni delle capacità sensoriali (inclusi il tatto, la vista e l'olfatto), formicolii e incontinenza intestinale.

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L'ecocolordoppler è  una metodica non invasiva che, mediante la visualizzazione dei principali vasi sanguigni (arterie, grossi vasi addominali, tronchi sovraaortici, sistema venoso), permette di studiarne il flusso ematico. L’ecocolordoppler fornisce immagini a colori (rosso e blu) dei flussi venosi e arteriosi evidenziando anche le più piccole lesioni delle pareti dei vasi consentendo di valutarne con precisione l’entità.

L’ecocolordoppler può essere molto utile per studiare e monitorare le principali patologie vascolari (stenosi arteriose e venose, aneurismi, trombosi e insufficienze venose) oppure per individuare lesioni aterosclerotiche, le placche che ostruiscono il flusso sanguigno e possono provocare trombi venosi.
L’esame serve a rivelare eventuali aneurismi o stenosi e occlusioni ai grossi vasi sanguigni addominali, patologie che spesso si sviluppano senza fornire particolari sintomi.

Le Arterie sono formate da numerose fibre di elastina che le rendono capaci di resistere ad alte pressioni: le arterie che partono dal ventricolo sinistro trasportano sangue ricco di ossigeno dal cuore verso i tessuti dei vari organi, le arterie che partono dal ventricolo destro trasportano sangue povero di ossigeno verso i polmoni. Le Vene fanno parte della circolazione sistemica riportando il sangue verso il cuore spinto dalla contrazione dei muscoli scheletrici e con l’aiuto di piccole valvole a “nido d’ape” presenti al loro interno che obbligano il flusso sanguigno a scorrere in un’unica direzione.

L’esame viene effettuato con le stesse modalità con le quali si eseguono le classiche ecografie; ovvero attraverso l’utilizzo di una sonda ad ultrasuoni che l’operatore specializzato fa passare sulla cute della zona da analizzare precedentemente ricoperta con un particolare gel che assicura la trasmissione acustica degli ultrasuoni. 

L’utilizzo dell’effetto Doppler negli ultrasuoni permette di misurare la velocità del flusso sanguigno ed in combinazione con la metodologia COLOR, (aggiunta del colore nella rappresentazione dell’esame ecografico), consente di individuare e visualizzare in tempo reale i vari vasi sanguigni e la presenza di  eventuali patologie. 

A seconda della parte del corpo analizzata si avranno diverse tipologie di ecocolordoppler:

Ecocolordoppler dei tronchi sovraortici (TSA), Carotideo, Vasi Epariotici,

L’Ecocolordoppler è un’indagine strumentale di grande aiuto per il Medico Specialista in Angiologia e/o per il Chirurgo Vascolare poiché ne agevola il lavoro al fine di arrivare ad una corretta diagnosi.

E’ consigliato sottoporsi ad un esame ecocolordoppler in presenza di:

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La ginecologia è la branca della medicina che si occupa dello studio della fisiologia e delle patologie dell’apparato riproduttivo femminile.

Un medico specializzato in ginecologia si occupa di diagnosticare e trattare, anche con la collaborazione con altri specialisti, i disturbi che colpiscono l’apparato riproduttivo femminile. Compito del ginecologo è inoltre quello di seguire la donna durante il periodo della gravidanza.

Le patologie più frequentemente trattate dallo specialista in ginecologia sono:

Compito del ginecologo è inoltre quello di seguire la donna durante il periodo della gravidanza, durante il travaglio e il parto, e di fornire assistenza post partum quando necessaria.Dopo la maturazione sessuale, le donne dovrebbero farsi visitare da un ginecologo annualmente, anche in assenza di problematiche particolari o di specifica sintomatologia, per tenere sotto controllo lo stato di salute del proprio apparato riproduttivo.
Si raccomanda di far riferimento al ginecologo per ogni problematica che riguarda l’apparato riproduttivo (se, ad esempio, aumentano le perdite dalla vagina, oppure cambiano colore e/o odore; se si prova dolore pelvico di qualsiasi genere; se le mestruazioni risultano dolorose o le perdite di sangue risultano diverse dal solito; se si è avuto rapporti sessuali occasionali non protetti; ecc).
Il ginecologo è inoltre punto di riferimento anche per le donne con problemi di fertilità e difficoltà a concepire – oltre che lo specialista di riferimento durante la gravidanza

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L’elettrocardiogramma è un esame diagnostico ambulatoriale che consente di registrare e visualizzare graficamente l’attività elettrica delle fibre miocardiche.

E’ un metodo pratico, semplice da effettuare, non invasivo, che permette di valutare se sono presenti patologie di natura meccanica o elettrica del cuore (per es infarti o disturbi del ritmo).

Questo esame può essere eseguito a riposo, mentre il paziente è supino sul lettino, o sotto sforzo, mentre il paziente cammina su un tapis roulant o pedala su una cyclette.

L’elettrocardiogramma a riposo permette di diagnosticare la presenza di aritmie (alterazioni del ritmo cardiaco); ischemia e/o infarto (sofferenza cardiaca determinata da una riduzione di flusso di sangue al muscolo cardiaco da restringimento di una coronaria), alterazioni delle cavità cardiache acquisite o congenite (per esempio valvulopatie, cardiomiopatie, etc.); disturbi elettrolitici (alterazioni della concentrazione degli elettroliti ematici); effetti tossici di alcuni farmaci.

Non vi sono controindicazioni per l’esecuzione dell’elettrocardiogramma standard. L’elettrocardiogramma sotto sforzo è invece controindicato per i pazienti che non possono sottoporsi a sforzi fisici, che hanno una ischemia/aritmia in corso e con grave insufficienza cardiaca con sintomi a riposo. L’ECG ha una durata di pochi minuti. L’esame è sicuro e indolore e non vi sono controindicazioni particolari all’esame.

Al paziente vengono applicati sulla pelle 10 elettrodi che permettono di registrare l’attività elettrica del cuore. Gli elettrodi sono collegati attraverso fili elettrici a un apparecchio chiamato elettrocardiografo che elabora e stampa su carta il tracciato grafico (elettrocardiogramma).

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La neurochirurgia è la branca della medicina che si occupa del trattamento chirurgico dei problemi che coinvolgono il cervello, la colonna vertebrale, i nervi periferici e le arterie presenti nel collo.

Il neurochirurgo è un medico specializzato nella diagnosi e nel trattamento chirurgico dei problemi che colpiscono il sistema nervoso centrale e del sistema nervoso periferico.

Le patologie con cui ha più spesso a che fare il neurochirurgo sono incluse:

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Con la definizione "chirurgia generale" si indica, differentemente da quanto suggerisce la definizione stessa, quella branca della chirurgia che si occupa di risolvere o migliorare la prognosi delle patologie che interessano gli organi della cavità addominale – intestino, colon, fegato, stomaco, esofago, pancreas, cistifellea, fegato, dotti biliari – oltre alla mammella e alla tiroide.

Il chirurgo generale è un chirurgo specializzato in interventi chirurgici condotti su mammella, tiroide o su uno degli organi della cavità addominale, il cui obiettivo è curare o migliorare la prognosi delle patologie che interessano questi organi.

Le patologie più spesso trattate da questo chirurgo sono le patologie a carico della mammella, della tiroide e degli organi della cavità addominale (intestino, colon, fegato, stomaco, esofago, cistifellea, pancreas, fegato, dotti biliari). Tra queste ricordiamo in particolare:

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La visita urologica è una visita medica – non dolorosa e non invasiva – che viene effettuata dall’urologo, ovvero dal medico specialista nello studio e nella cura delle malattie dell’apparato urinario.

La visita urologica ha come obiettivo quello di diagnosticare, escludere o monitorare un disturbo di carattere urologico, tra cui: incontinenza, infezioni e calcolosi delle vie urinarie, disturbi legati alle funzioni sessuali, neoplasie, infezioni genitali maschili e femminili, prostatiti (nell’uomo).

Lo specialista urologo nella prima fase della visita provvederà a raccogliere il maggior numero di informazioni sulla storia clinica e sullo stile di vita del paziente (fase denominata “anamnesi”), facendo domande circa l’alimentazione abitualmente seguita, l’eventuale vizio del fumo, l’eventuale consumo di alcol, il livello di attività fisica e di sedentarietà, la presenza di eventuali patologie a carico, altri casi in famiglia di patologie urologiche, eventuale assunzione di farmaci e, infine, sulla vita sessuale.
La seconda parte della visita presenta delle differenze in base al genere sessuale del paziente. Se il paziente è uomo, infatti, il medico procederà a un’attenta valutazione del basso addome e della zona genitale esterna. Nel corso di questa visita può anche essere effettuato il controllo della prostata mediante palpazione dal canale rettale per verificare lo stato di salute di questa ghiandola. 

Nel caso della donna la visita urologica è del tutto simile a una visita ginecologica. Dopo aver effettuato l’anamnesi della paziente, il medico urologo procederà alla valutazione dello stato di salute dell’apparato urinario, escludendo o individuando la presenza di prolassi della vescica e/o dell’utero 

Frequentemente viene richiesta l’esecuzione di un’ecografia del basso addome, con o senza sonda transvaginale: meglio dunque presentarsi con la vescica piena.

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La radiologia interventistica (RI) è una branca della radiologia medica che comprende tutte le procedure invasive o mini-invasive diagnostiche e  effettuate mediante la guida e il controllo delle metodiche radiologiche, quali fluoroscopia, tomografia computerizzata, risonanza magnetica, ecografia. L'obiettivo della radiologia interventistica è quello di ottenere risultati e mortalità uguali o migliori rispetto ai corrispondenti interventi chirurgici. La radiologia interventistica può essere suddivisa in vascolare ed extra-vascolare. La cosiddetta "chirurgia endovascolare" coincide sostanzialmente con la radiologia interventistica vascolare. La radiologia interventistica è stata anche definita radio-chirurgia o chirurgia radio-guidata.

La radiologia interventistica oggi è una disciplina caratterizzata da un'attenzione clinica sempre maggiore nei confronti dei pazienti; il medico radiologo interventista è un medico specialista capace dunque di garantire non solo procedure mini-invasive, ma anche di seguire il paziente nel periodo pre-operatorio e nel follow-up post-operatorio attraverso ambulatori dedicati.

La visita di Radiologia Interventistica consiste in un colloquio con il Radiologo Interventista, che esegue una visita, esamina la documentazione a disposizione ed esegue eventuali accertamenti ecografici al fine di valutare l’idoneità ad un intervento non invasivo di Radiologia Interventistica. In caso di idoneità, il Radiologo spiega le innovative tecniche utilizzate per il trattamento della patologia di interesse. In caso di non idoneità al trattamento, il Radiologo Interventista propone un percorso terapeutico alternativo o la discussione del caso in gruppo multidisciplinare con colleghi di altre specialità.

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La psicologia è una scienza che si occupa dei processi della mente, del comportamento e delle relazioni umane con lo scopo di promuovere il miglioramento della qualità della vita.
La psicologia è un sapere che, data la complessità dell’essere umano, si fonda sui risultati della ricerca scientifica e sui contributi delle discipline antropologiche.
La psicologia nella vita di tutti i giorni...
Le competenze e gli strumenti offerti attualmente dalla psicologia hanno applicazioni in tutti i contesti della vita quotidiana nei quali ci si occupa del benessere psicologico dell’individuo, quali:
• passaggi critici nel ciclo di vita (infanzia, adolescenza, coppia e sessualità, gravidanza, terza età),
• prevenzione e benessere (salute, stili di consumo, sicurezza, violenza, dipendenza da sostanze),
• educazione e sviluppo (scuola, disturbi dell’apprendimento, genitorialità, processi di formazione),
• disturbi cognitivi (valutazione e riabilitazione neuropsicologica in seguito a cerebrolesione acquisite (trauma cranico,ictus, emorragie cerebrali, ecc) o in caso di malattie neurologiche/degenerative (sclerosi multipla, morbo di Alzheimer, malattia di Parkinson,ecc)
• lavoro ed organizzazioni (selezione, testing e valutazione, presa di decisioni, analisi organizzativa, team building), e in numerosi altri ambiti come immigrazione, giustizia, sport, ergonomia, eventi traumatici e così via.
 
Il sostegno psicologico ha come obiettivo principale quello di aiutare chiunque ne senta il bisogno, che si tratti di bambini, adolescenti, adulti, anziani, e può essere individuale o di coppia. La tipologia di percorso e l’approccio indicati e utilizzati dai professionisti sono differenti e dipendono dal tipo di domanda, dal tipo di disagio nonché dall’obiettivo delle singole persone che chiedono aiuto.
 
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Il Biologo nutrizionista

1) può prescrivere diete in modo autonomo, ma esclusivamente ad un soggetto sano
2) non può qualificarsi come medico;
3) non può fare diagnosi di patologie;
4) non può prescrivere terapie anche dietologiche in presenza di patologie di qualsiasi natura;
5) non può prescrivere farmaci (ancorché omeopatici);
6) non può utilizzare attrezzature, strumenti medici e apparecchiature invasive per fare diagnosi, terapie o trattamenti

l biologo nutrizionista è, quindi, un dottore, ma non è un medico. Analogamente al medico nutrizionista, può prescrivere diete in modo autonomo, ma esclusivamente ad un soggetto sano, ovvero che non presenti alcuna alterazione del proprio stato di salute. Le limitazioni della sua professione derivano dall’esclusività della professione medica.

Un biologo nutrizionista dovrà accertarsi se la persona che si rivolge a lui sia in possesso di tutte le analisi necessarie, ed avere un quadro complessivo esauriente del suo stato di salute, proprio perché non può egli stesso prescriverle. Qualora le analisi si discostino dai valori normali, il biologo ha l’obbligo di collaborare con il medico curante o con uno specialista, prima di suggerire qualsiasi tipo di regime alimentare che abbia carattere terapeutico.

La visita dal nutrizionista consiste nella programmazione di più incontri periodici, al fine di tenere monitorato l’andamento e i risultati ottenuti in base al piano alimentare concordato.

Durante il primo incontro vengono raccolte una serie di informazioni sullo stile di vita della persona e sulla storia clinica della famiglia e del paziente per conoscere eventuali diete e oscillazioni di peso sostenute nell’arco del tempo.

Vengono poi rilevati i dati riguardanti altezza, peso, circonferenze, BMI (Indice di massa corporea), BM (Metabolismo basale a riposo), grasso viscerale, rilevazione del grasso sottocutaneo tramite plicometria, valutazione del fabbisogno energetico.

In seguito verrà poi elaborato e consegnato il piano alimentare studiato per il paziente.

Lo scopo delleè definire gli obiettivi da raggiungere insieme attraverso un percorso di educazione alimentare.

Nello specifico, ci si rivolge ad un nutrizionista per le seguenti problematiche od obiettivi da raggiungere:

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Elenco degli articoli

 

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